Quando posso, mi piace passeggiare a mezzogiorno e mezzo, quando molti se stanno a mangiare una calda pastasciutta e i miti raggi di sole ti accarezzano il volto.
Ero immersa nei miei pensieri, chissà quali, e l’ho sentito dopo un po’, il suo “cip” insistente, proveniente da un grande albero, ancora dotato delle sue belle foglie gialle autunnali, rese dorate dalla luce del sole.
Eh sì, non c’era dubbio, mi stava chiamando. Mi son fermata e ho guardato tra i rami. Silenzio. Resto in attesa col naso all’insù scrutando tra i rami e le foglie per vederlo, in attesa di un nuovo cip per individuarlo. “Cip! Cip!” L’albero diventa una foresta di foglie e vederlo non è un’impresa facile. Poi, mi sembra… Si eccolo! Si fa vedere, esce da dietro una foglia.  - Ehi! Ciao! – dico e di rimando: “Cip! Cip! Cip!!” Si sposta ancora un po’, si assicura che lo vedo bene. Com’è piccolo! Guardo meglio per vedergli la gola e il petto e capire se è un pettirosso. No, non è un pettirosso e poi il "cip" è più stridulo e corto. Comincia una lunga e intensa cinguettata. - Che vuoi dirmi piccolino?- Cinguetta, non allegramente, in modo concitato, sembra preoccupato, anzi quasi arrabbiato. Percepisco una domanda: “Perché ci sparano? Perché non possiamo volare in pace senza paura?”
Ha ragione... “Con che cuore ci sparano?” Ma i cacciatori non vedono quel che vedo io, e non sentono quel che sento io, e di certo non si sentirebbero come mi sento io ad ascoltare quel piccoletto. Che dirgli? Lo ascolto. Vuole che si sappia. Non è giusto, vivere con la paura di venire impallinati e finire spennati e poi allo spiedo in qualche tavola. Lo so bene cosa provano i cacciatori: il nonno che amavo tanto era cacciatore, e son cresciuta in un negozio di caccia e pesca, augurando a  tutti i clienti di fare "cilecca", di farsi una balla passeggiata coi cani e di tornarsene a casa a carniere vuoto. E poi facevo finta di non vedere, di non pensare. Ecco, pensavo a qualcos’altro, appunto quello che stavo facendo quando son passata nelle vicinanze di un albero illuminato dal sole. L’uomo è cacciatore: da sempre. L’attività della caccia è rimasta un hobby e uno spiedo con con gli amici un modo per dar lustro al proprio ego.
-      Mi dispiace piccolo, perdonami, grazie, ti amo.
Continuo la passeggiata. Un insieme di uccellini si alza dal prato e si nasconde nell’alta siepe sempreverde. -Non c’è pericolo: sono innocua!-, ma forse il mio girare tra miei pensieri non lo è.
Continuo a camminare. Ai piedi degli alberi i tappeti di foglie colorate hanno lasciato posto a scaglie di cioccolato. Il parco sembra una grande torta ora… Meglio ritornare a casa, comincia a farsi sentire la fame.
Passo davanti a una fila di alberelli giovani dal fusto esile, tre sono stati spezzati… È rimasto un mozzicone di tronco a ricordo di un atto incivile che provoca nei passanti o rabbia o tristezza o entrambe. Qualcuno che non sapeva con chi prendersela per sfogarsi un po’ per esprimere chissà quale stato d’animo… Un atto, questo difficile da scusare.
Esco dal parco. In lontananza spicca, davanti a una muretta di cemento, un gatto nero e bianco, appostato in mezzo all’erba. Sta guardando davanti a sé un merlo, che alla dovuta distanza di sicurezza, circa tre metri, saltella spavaldo sotto un alberello. Che temerari i merli! Il gatto, un gatto giovane e inesperto di sicuro, si abbassa con la pancia a terra per non farsi vedere… Troppo tardi. Ti abbiamo visto tutti! Anche perché sei troppo buffo: tutto nero col muso bianco e una maschera nera che sembri Catwoman (secondo me è una gatta). Muovo qualche passo verso di loro. Il merlo se ne va. Sono troppo lontana per vedere lo sguardo della gattina,  ma credo abbia pensato “Accidenti a te!”, anche se, è risaputo, che i gatti non pensano.
Continuo la passeggiata di ritorno, passando vicino a un albero pieno di cachi. Ce ne sono molti in giro in questo periodo. Sembrano alberi pieni di pon-pon arancioni appesi. Molti cachi resteranno sugli alberi. Che peccato! Magari a qualcuno piacciono e per gustarli se li deve comperare al mercato.
Sulla via del ritorno tre cani mi salutano, non proprio amichevolmente. Chissà perché i cani temono che ti avvicini alla loro proprietà e ti apostrofano con quei “Baù! Guai a te se ti avvicini, qui non si entra!! BAU!!” Dico anche a loro che sono innocua e si tranquillizzano, tranne una barboncina bianca più sospettosa degli altri.
Arrivo a casa e la mia vicina mi saluta. È fuori che piega la tovaglia dopo che le briciole son volate giù per gli uccellini.
Affamata rientro in casa chiedendomi che cosa mangerò oggi e quando la smetterò di essere… innocua…